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Guido Giuffrè (2000)
Le struggenti inquietudini

Riflettendo sulle opere che Giuseppe Puglisi dipingeva nella prima metà degli appena trascorsi anni novanta, all'incirca venticinquenne, ci si accorge che la frammentazione delle immagini odierne - o meglio delle figure che nelle tele recenti sembrano smembrarsi, sgranarsi sotto la pressione della luce e dell'atmosfera - rientra piuttosto in un processo di ricomposizione delle forme. Prima, si, l'immagine era smembrata, lacerata in brani che ne impedivano persino un elementare comporsi in organismo riconoscibile - in vago ricordo delle cancellazioni di Sarnari. La realtà sembrava lottare con se stessa per trovare un assetto qualsivoglia, balbettava, smozzicava sillabe che non riuscivano a farci parola, lasciando tuttavia del loro sforzo, non di rado, densa traccia poetica. Oggi al paragone, immagine, forme, figure, si definiscono in una compiutezza persino di racconto, e il loro apparente destrutturarsi trova più evidenti e compiute motivazioni di stile e di senso.
Alla lettura del Puglisi di oggi giova anche notare lo scarno impianto cromatico del Puglisi di allora. Non era povera, la tavolozza, ma scabra; la gamma vuoi dei bruni, severi agli estremi del nero d'avorio e del bianco, vuoi delle ocre e degli azzurri, manteneva una larvata rigidità, derivante, oltre che dall'acerbità della visione, anche dalla scelta di un'immaginazione di forme più che di quintessenze cromatiche: com'è invece, in prevalenza, oggi, Puglisi è accentuatamente colorista. Lo era anche allora, ma si direbbe suo malgrado, come un ricco che voglia condurre vita da povero; mentre oggi egli ha compreso che le infinite possibilità del colore sono l'ampio (e insondabile) perimetro in cui si svolge tutta la sua vicenda poetica. Si diceva di un'apparente frammentazione. Bagnanti, nuotatori, navi, città, sembrano immersi in un tacito, immobile tumulto che ne mina la consistenza, e che viene tanto dallo spazio dove è immersa ogni cosa quanto da un'inquietudine interna alle cose stesse. La solarità radiante e abbagliante che corrode non soltanto il profilo ma la stessa sostanza delle figure deriva forse dalla ormai lontana stagione dell'impressionismo (tutta la luce della pittura contemporanea ne risente), ma ha assorbito anche le ragioni e i modi dell'arte astratta, e soprattutto di De Stael. Così anche la nebbia: ad esempio l'imponderabile velo che sembra fasciare la vasta tela della Nave. Monet (complice Turner?) aveva amato la nebbia di Londra più ancora delle brume che esaltavano, più che offuscarli, i baluginanti lucori dei disgeli di Vétheuil; ma in quelle varie caligini le cose vivevano tutta la vita loro propria, alla cui ricerca l'artista spendeva i suoi immensi talenti. Le stasi assolate o i brividi muti dell'inverno, le tempeste sulle scogliere, i fremiti trascorrenti come una carezza sul rosseggiare dei papaveri, coglievano ed esaltavano come mai prima, né dopo, l'intima essenza della natura.
Ma Puglisi appartiene a un altro tempo. All'artista contemporaneo forse non è più dato abbandonarsi al respiro del creato; l'anima, il temperamento, la personale visione del mondo non sono più rinunciabili, ed occupano spazi prima pressoché sconosciuti. In questo il pittore di oggi è ancora romantico, ma con una presenza, pregnanza e magari invadenza dei linguaggi che l'Ottocento non conosceva. Puglisi, che rientra nella parte migliore della nostra giovane pittura, non rischia gli eccessi, ma, ferma restandone la componente lirica, il quietismo del suo lavoro è soltanto apparente. Nella Nave citata si aduna, esplicita, la maggior misura dei turbamenti, dei sospetti e persino delle latenti minacce che percorrono tutto il suo mondo; la tavolozza mantiene le finezze, ma quel velo d'ombra ne scende al cuore, rende plumbei i viola prevalenti, lividi, invasi dalla notte, e una sorta di notte dell'anima - ma fascinosa, cupamente invitante - scorre sotto la pelle di tutta l'immagine.
In parte diverso è l'approccio al ricorrente tema dei bagnanti. Le figure immerse nell'azzurra vastità sembrano disfarsi nella calura, tremolano nei riverberi e tremolante è lo spazio stesso che le accoglie. Ma non è stanchezza d'estate; l'uomo che rema sul pattino così come il nuotatore che risale grondante o che nuota nella piscina, subiscono un disagio che scavalca il caldo rovente e si fa condizione d'esistenza. Qualcosa di analogo - in assai diversa temperie culturale e formale - avveniva ai bagnanti di Pirandello: ritorti in plaghe latamente e umanissimamente infernali. Qualche tempo fa Puglisi ha dipinto una grande piscina (due metri per tre) i cui nuotatori erano ridotti a lacerti di carne straziata, diresti imbevuti d'eco soutiniana se non addirittura baconiana: ove non fosse una tavolozza ancora intrisa delle malie di Bonnard. È questa la chiave che sembra riassumere tutta la poetica di Puglisi: una ricchezza cromatica umorosa, un colorismo risonante quanto sottile - in cui si fanno più struggenti le inquietudini che di quella poetica sono le ragioni segrete e dominanti.

Guido Giuffrè
Le struggenti inquietudini
in Giuseppe Puglisi opere recenti
Catania 2000

 


   
ESPOSIZIONI
   
PUGLISI
Il Mediterraneo
Coste e costellazioni

Genova, Palazzo Ducale
9-30 gennaio 2011
 
 
 
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